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In Italia c'è lavoro e ci sono lavoratori?

L'aumento degli occupati in Italia nel gennaio 2023 è il più alto degli ultimi 19 anni, ma la disoccupazione giovanile rimane alta.

Andrea Catalini

A cura di 

Andrea Catalini

Aggiornato 

June 13, 2023

In Italia c'è lavoro e ci sono lavoratori?

Dopo anni in cui le speranze erano tutto fuorché rosee, ci troviamo in un momento storico positivo: ci sono buone notizie sul frontelavoro. Una frase che l’attuale generazione di studenti universitari non ha sentito praticamente mai, cresciuta avvolta nell'eco della parola “crisi”,entrati nel mondo degli adulti in anni di pandemia e guerra in Europa con conseguenti crisi.

 

23,3 milioni di occupati a gennaio 2023.

Questo dato, il più alto da 19 anni a questa parte, lascia ben sperare. La disoccupazione giovanile al 23% un po’ meno, ma non si può volere tutto… o sì? C’è qualcosa che noi giovani possiamo fare soprattutto in termini di cambiamento culturale per vedere migliorare anche questo dato.

 

318 mila posti di lavoro vacanti...

Per diplomati di istituti tecnici e professionali nel 2021, mentre quest’anno con solo riferimento agli istituti tecnici si parla di 52mila posti di lavoro. Per quale ragione tutti vogliono i tecnici e relativamente in pochi vogliono rispondere a questa chiamata?

Parlare di ragioni di cambiamento delle necessità del mercato di lavoro è senza dubbio pertinente, ma non sufficiente in quanto non risolutivo. Se da una parte è vero che l'aumento del bisogno di figure tecniche in questa epoca è sotto gli occhi di tutti, dovremmo interrogarci sul perché la nostra società non si sta adattando.

I genitori tracciano o influenzano il percorso di studi dei propri figli portano con sé ancora oggi un pregiudizio vecchio di generazioni, figlio dell’epoca in cui essere “spediti” alla scuola di avviamento al lavoro era una minaccia avvilente e terrificante nei confronti di qualsiasi giovane studente. Certi pregiudizi sono difficili da eradicare, perciò è rimasta nel nostro modus vivendi la concezione per cui con il raggiungimento del benessere si debba puntare non solo all’istruzione, sacrosanto, ma a un determinato tipo di istruzione associata alle professioni considerate per tradizione “prestigiose”. Ebbene oggi ci sono opportunità che abbiamo difficoltà a cogliere, anche e soprattutto per un sentimento antimaterialista che, pur se in misura ridotta e via via morente, rimane presente nel carattere degli italiani.

Una fotografia di questo fattore culturale la si trova in un articolo online del giornale Alto Adige, in cui vengono tessute le lodi degli istituti tecnici utilizzando come strumento necessario e sufficiente la percentuale di occupazione dei loro diplomati.

Bolzano, Istituti tecnici super gettonati: dopo il diploma il 50% lavora

I diplomati del Delai richiesti anche come esperti di sicurezza o nell’amministrazione di condomini. Tutti cercano i manutentori del Galilei. Le aziende fanno la fila per i contabili del Battisti”. Nella provincia autonoma di Bolzano, di parzialmente autonomo non c’è solo l’amministrazione ma anche la cultura di un popolo di frontiera, caratterizzata da un’etica del lavoro molto più Mitteleuropea che italiana. Ecco la facilità con cui viene trattato l’argomento: il mercato di lavoro offre queste possibilità, perciò vanno prese e gli istituti tecnici sono ciò che serve.

Fuori da ogni logica autolesionista, quella delle tipiche frasi che iniziano con “In Nord Europa…” “In tutto il mondo…" e proseguono con una serie di strali contro tutto ciò che è italiano e innumerevoli spiegazioni del perché all’estero tutto sia meglio, dobbiamo contemplare la bontà di una considerazione completamente nuova di questi percorsi educativi, che non precludono in alcun modo un avanzamento culturale nell’ambito universitario, ma offrirebbero gli strumenti per mettersi subito in gioco a tanti giovani che attualmente escono dai licei italiani con poche idee e confuse.

Si badi, queste considerazioni non sono figlie di materialismo o di disprezzo di quella cultura che non porta a un beneficio materiale immediato. Negli anni del boom economico in cui i diplomati di tipo professionalizzante erano il 77,5% del totale (contro il 50% di oggi),l’istruzione di ambito umanistico non era certo disprezzata e tantomeno di qualità scadente.

Al contrario, come ci redarguiva Nietzsche già un secolo e mezzo fa, l’allargamento smisurato della cultura non porta a un suo miglioramento esponenziale, ma questo potrebbe essere argomento di un altro momento di studio.